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Il silenzio e Giulio Andreotti
17 . E' tempo di ricostruire
Umberto De Pace


Andreotti e Baruffi
Giulio Andreotti con Luigi Baruffi (da il Cittadino)

Giovedì 9 maggio leggo su il Cittadino un'interessante intervista a Luigi Baruffi – per 30 anni a fianco di Giulio Andreotti – scoprendo degli aspetti del sette volte presidente del Consiglio per me inediti, parte di quell'umanità che molte volte passa inosservata, sovrastata dall'immagine pubblica che un personaggio di così grande rilievo si porta dietro, suo (o non suo) malgrado. La storia del clochard, “raccomandato” da Andreotti al prof. De Molfetta dell'Ospedale San Gerardo, nell'anno 1990, l'ho trovata straordinaria.
Lo stesso giorno mi capita di leggere su internet la notizia che Umberto Ambrosoli esce dall'aula del Consiglio Regionale Lombardo prima della commemorazione della morte di Giulio Andreotti, dichiarando: “Non è il caso di fare polemica, è comprensibile che in occasione della morte di una persona che ha ricoperto ruoli di primo piano le istituzioni lo commemorino, ma le istituzioni sono fatte di persone ed è legittimo che ognuno faccia i conti con il significato che alla storia di ciascuna persona si vuole dare. Ci sono lati oscuri della sua vita, verso i quali ciascuno ha sensibilità diverse, questi elementi  contano anche nel momento del ricordo che deve essere senza polemiche, né contrasti”. Penso al padre di Umberto, Giorgio Ambrosoli, assassinato nel 1979 dai sicari mandati da Michele Sindona, sulla cui attività stava indagando quale commissario liquidatore della Banca Privata Italiana. Penso inoltre alle polemiche che suscitò l'improvvida dichiarazione che Andreotti rilasciò nel 2010, nel corso di un intervista televisiva, a riguardo di Giorgio Ambrosoli: «è una persona che in termini romaneschi "se l'andava cercando"», pur precisando il giorno dopo di aver voluto solo «fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto».
Il giorno successivo apprendo, dalla cronaca di Armando Pioltelli, che il consiglio comunale di Monza ha commemorato anch'esso con un minuto di silenzio la morte di Andreotti. Tutti presenti, nessun commento.
Mi sono chiesto che cosa avrei fatto se fossi stato all'interno del consiglio comunale e la risposta che mi sono dato e che sarei uscito in silenzio dall'aula. In silenzio per il rispetto verso la morte di un essere umano ma sarei uscito perché in quell'ambito rappresentativo e istituzionale si andava a commemorare un uomo delle istituzioni, che andava quindi ricordato nel bene e nel male, per il ruolo svolto all'interno delle stesse. Quindi, non avrei potuto fare a meno di ricordare che quell'uomo delle istituzioni, che parlava con i clochard, ci fu un tempo che mantenne rapporti con la mafia e, molti anni dopo, ci fu una Corte di Cassazione che suggellò tale infamia. Nessun uomo delle o nelle istituzioni dovrebbe dimenticarsi di questa accusa, già di per sé sufficiente a indurre comportamenti più sobri, da parte dei rappresentanti dei cittadini, almeno di alcuni fra essi, nei confronti del personaggio, pur autorevole, in questione.
Purtroppo non è stato così. L'imperante omologazione, ancor prima che del pensiero, del comportamento dei rappresentanti politici, la spesso scarsa e confusa memoria di alcuni di essi, conferma la mia convinzione che un cambiamento possa avvenire solo al di fuori dei professionisti della politica. Al contempo mi piace pensare che lo stesso Giulio Andreotti – verso cui umanamente ho sempre provato una sorta di simpatia, riconoscendogli le indiscutibili doti di statista, la grande intelligenza e l'arguta ironia – anche nella sua dipartita abbia dimostrato di sapersi stagliare al di sopra della mediocrità e ipocrisia imperante in questo paese, lasciando fra le ultime sue volontà quella di evitare i funerali di Stato.
Sul surreale minuto di silenzio imposto negli stadi di calcio non vale la pena di spendere parola quanto di stendere un pietoso velo. Mentre è giusto e doveroso per chiunque avere rispetto per la morte di una persona e per il conseguente dolore dei suoi famigliari. Ed giusto per questo il silenzio, non il discutibile minuto, ma per tutto il tempo necessario al lutto dei suoi famigliari e di tutte le persone che gli furono vicine. Il tempo della ricostruzione storica delle tante vicende oscure che videro coinvolto Giulio Andreotti nella sua lunghissima carriera politica, come quello delle sue innegabili qualità e capacità politiche e degli aspetti più intimi della sua umanità, verrà in un secondo tempo. L'importante e che questo tempo non vada disatteso in modo che ognuno di noi possa fare i conti con la storia e con la persona come giustamente ci ricorda Umberto Ambrosoli, senza polemiche né contrasti gratuiti ma anche senza ipocrisie né reticenze.

Umberto De Pace

E' tempo di ricostruire
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10. In morte di un dittatore
11. Buonsenso e responsabilità
12. Politica, antipolitica e democrazia
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  12 maggio 2013